venerdì 17 febbraio 2017

Auguri babbo.








Oggi mio padre compie 70 anni ma forse non lo sa.
Lui è un viaggiatore: nel tempo e nello spazio.
Lo vedo passare ogni tanto, fermo nel suo involucro fatto di sbarre, ruote e manovelle.
Eppure è sempre in movimento, imprigionato tra un’infanzia approssimativa e un’età matura, fatta di poche certezze.
Quando torna ci racconta di un’epoca d’oro, di prezzi in Lire, giochi, caccia e storia antica, con parole nuove che danno un senso a tutto, se solo potessimo conoscerle.
Noi non abbiamo accesso a quel luogo, possiamo solo immaginarlo dai suoi racconti, con protagonisti uomini e donne che sono stati importanti nella sua vita, talvolta morti da tempo, forse mai esistiti, oppure fatta di comparse che sono passate veloci lasciando comunque una traccia.
Lo ascoltiamo e ci sembra che tutto intorno a noi resti uguale. Ma lui può vedere oltre la nostra dimensione, e ci porta dentro un bosco, al capanno, oppure in piazza nel ’68. A volte ci sembra di scorgerlo ancora piccolo, quando chiede dei suoi genitori, nella sua casa di un tempo.
Gli regalavamo libri; lui oggi ci racconta di viaggi incredibili.
Ma nel suo vagabondare c’è un posto a cui non smette di approdare.
È uno dei pochi che possiamo condividere.
È un faro con due luci che si vedono da ogni altro luogo, in qualsiasi punto del tempo e dello spazio.
Sono il filo che riavvolge per tornare a casa.
Lo saluto.
- Marco - Mi fa - Mi raccomando, stai sempre attento alle mie nipotine.
E se ne va di nuovo.
Auguri babbo.

giovedì 16 febbraio 2017

Presenza




Presenza è una parola che mi piace.
È l’anagramma zoppo di speranza.
Presenza sei tu prima di andare via: prima di senza, che lasci il vuoto quando esci, che ti porti via i respiri, e io che faccio? Mi abbandono ad ascoltare la mia circolazione.
Il vuoto che resta mi svela cosa sia la solitudine con la sua voce, il silenzio. Mi dice che non è scontato l’averlo cacciato, che resta sempre pronto nella vita, sempre in agguato.
Mi viene in mente quella foto in cui c’eri tu, seduta in montagna, coi fuseaux bianchi e blu, i capelli ancora lunghi e gli occhiali vecchi, quelli rossi.
Guardavi l’obiettivo con lo sguardo un po’ perso, o forse no, forse guardavi il futuro: tu sapevi già come sarebbe andata.
È la prima foto che mi hai dato e io l’ho tenuta nei libri.
Sei la mia donna e se dico “mia” non è per possesso: è che un dono gradito non si vuol mandare indietro.
Allora, senti, per non perdere la strada, quando sei lontana unisci i palmi delle mani.
Fallo, guardaci dentro.
Vedi tutte quelle linee? Non è il nostro destino, quella è la mappa da seguire per ritrovarsi sempre.
E io ho qui l’altra metà.