Città amara - Leonard
Gardner - Fazi
Città amara di Gardner parla di
pugilato.
Ma se togli quello e ci metti il tuo
lavoro, la tua vita, il senso di quello che stai facendo, che richiede il tuo
impegno, la tua massima partecipazione emotiva e fisica: ci sei, sei il protagonista
del romanzo.
E puoi scegliere il tuo futuro seguendo
la linea della vita dei personaggi, una linea che solca dure pelli di guantoni
pronti a sbatterti nei denti non appena cedi, non appena smetti di sperare, di
credere in quello che fai, nelle tue possibilità. Perdi la tua partita quando
cominci a coccolarti nell’amarezza di un tormento, credendo che sia quello a
ossessionare te.
E invece è il contrario, perché a volte
è così facile smettere di piangerci addosso, che nell’incredulità di riuscirci,
invertiamo a U allontanandoci dall’arrivo, quando manca appena una curva alla fine. Quando sarebbe così
facile raggiungerlo. Ma fai come Orfeo con Euridice, ti volti e vedi sparire tutta
la fatica fatta per arrivare fin lì.
Dicono che dopo essere caduti possiamo
rialzarci, ma è anche vero che è sempre più difficile farlo e che alla fine è
così normale cadere che restare in piedi diventa superfluo.
Finché non è più possibile.
Nel libro c’è questo allenatore, Ruben,
che aspetta da una vita di trovare il pugile di razza; probabilmente lo
aspetterà per sempre ma a volte il destino non è realizzarsi ma spingere
all’infinito le nostre aspettative. E’ un uomo onesto, se può aiuta gli atleti
che si sono persi e cerca di raccattare loro un incontro per farli rientrare
nel giro e così rientrarci pure lui.
Se ti senti uno dei suoi ragazzi puoi
scommettere che cercherà con ogni mezzo di farti stare in piedi (e per Ruben
vale in senso figurato e in senso letterale: sul ring), ma la spinta deve venire
da te, altrimenti resti dove sei.
Da leggere.