lunedì 13 giugno 2016

Città amara di Leonard Gardner




Città amara - Leonard Gardner - Fazi

Città amara di Gardner parla di pugilato.
Ma se togli quello e ci metti il tuo lavoro, la tua vita, il senso di quello che stai facendo, che richiede il tuo impegno, la tua massima partecipazione emotiva e fisica: ci sei, sei il protagonista del romanzo.
E puoi scegliere il tuo futuro seguendo la linea della vita dei personaggi, una linea che solca dure pelli di guantoni pronti a sbatterti nei denti non appena cedi, non appena smetti di sperare, di credere in quello che fai, nelle tue possibilità. Perdi la tua partita quando cominci a coccolarti nell’amarezza di un tormento, credendo che sia quello a ossessionare te.
E invece è il contrario, perché a volte è così facile smettere di piangerci addosso, che nell’incredulità di riuscirci, invertiamo a U allontanandoci dall’arrivo, quando manca appena  una curva alla fine. Quando sarebbe così facile raggiungerlo. Ma fai come Orfeo con Euridice, ti volti e vedi sparire tutta la fatica fatta per arrivare fin lì.
Dicono che dopo essere caduti possiamo rialzarci, ma è anche vero che è sempre più difficile farlo e che alla fine è così normale cadere che restare in piedi diventa superfluo.
Finché non è più possibile.

Nel libro c’è questo allenatore, Ruben, che aspetta da una vita di trovare il pugile di razza; probabilmente lo aspetterà per sempre ma a volte il destino non è realizzarsi ma spingere all’infinito le nostre aspettative. E’ un uomo onesto, se può aiuta gli atleti che si sono persi e cerca di raccattare loro un incontro per farli rientrare nel giro e così rientrarci pure lui.
Se ti senti uno dei suoi ragazzi puoi scommettere che cercherà con ogni mezzo di farti stare in piedi (e per Ruben vale in senso figurato e in senso letterale: sul ring), ma la spinta deve venire da te, altrimenti resti dove sei.

Da leggere.

sabato 11 giugno 2016

I capelli di un'altra





I capelli di un’altra

Marina è una forza.
Si sveglia al mattino che ha molto da fare, ha due figli e un marito, un lavoro che ama e
un padre malato che deve aiutare. Corre tra scuola la posta e la banca. Marina si stanca più spesso di prima.

Marina radiosa è dimagrita, si sente potente, la famiglia, la vita. Una cena tra amiche, un post, una gita. In doccia si sciacqua, si trova bella. La mano sul seno sente una fitta, Marina ha un gonfio sulla mammella.

Marina sta seria all’ospedale. In ambulatorio il dottore le parla, ma lei sembra non stare a ascoltare. Suo marito la stringe e la rassicura ma lei davvero adesso sta male. Marina ora sa di avere un tumore.

Marina è distesa, nella camera un letto, è stata dura ma si è rassegnata. L’intervento è riuscito, adesso è guarita. La chemio e la radio l’han dilaniata, Marina si specchia, adesso è calva.

Marina reagisce con forza e con rabbia. Marina è serena, Marina è tornata. Le foto dei figli sono come un mantra. La stessa di prima, la vita non cambia. Le corse di sempre e in più c’è il dottore. Spettinata dal vento cammina nel sole. Marina adesso ha i capelli di un’altra.

Nel mondo vivono amazzoni silenziose che arco e faretra ce l’hanno nel cuore. Sono le nuove guerriere e ne conosco alcune, troppe, di persona e virtuali, sono l’essenza della vita e brillano di quella stessa bellezza che ha il sole, quando lo guardi attraverso i rami di un albero, che intermittente ti acceca. Io queste donne le stimo tantissimo e solo ascoltando il loro inno alla vita si capisce come il cancro al seno non sia solo una malattia, ma una violenza. Quelle che nascono da questa violenza sono donne diverse, vestite di nuova consapevolezza. La “altra” a cui mi riferisco non è solo colei che dona la sua capigliatura (è prassi farlo anche per i bimbi), ma “altra” è proprio la donna che rinasce da questa esperienza devastante. Umilmente dedico loro questa piccola cosa che covo da tempo e non sapevo se… 


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Marco Frosali

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