mercoledì 18 maggio 2016

Filo spinato






La rete è grigia, distante, forse tanto quanto lo sono due porte in un campo di calcio. Se Amjad la osserva di sbieco sembra una parete. Forse lo è davvero. Lui e Rieda fanno un gioco: fissano i cerchi di filo spinato, poi muovono le dita e seguono il loro andamento a spirale. Gli hanno detto che ci sono degli aghi intorno ai cerchi. Se ci mettono le mani bucano, anche più delle vespe.

Per non sentire i grandi che gridano i due bambini giocano a palla. È di Rieda. È grigia, sgonfia, ma ci giocano lo stesso; la usano da quando sono lì. L’ha ricevuta il giorno che ha raggiunto le coste della Grecia. Anche Amjad ne possedeva una; l’aveva costruita lui stesso, arrotolando una vecchia maglia e avvolgendola con dello spago. Adesso non ce l’ha più; suo padre l’ha disfatta. Ci ha aggiustato le loro scarpe. Erano rotte.

Quanto hanno camminato! Per giorni. Hanno attraversato i campi e i boschi e quando faceva buio gli capitava di finire in acqua. Allora uscivano completamente bagnati. Era estate e l’aria era fresca anche di notte. Completamente fradici soffrivano un freddo terribile. Amjad, Rieda e Kuampa si guardavano. I loro denti sbattevano a causa del freddo. Quel delicato tintinnare che usciva dalle loro bocche gli sembrava un concerto. Ridevano e in questo modo avevano l’illusione di asciugare prima.

Da giorni non si vede Kuampa. Amjad crede che sia tornato a scuola perché la madre del suo amico piange, come la sua mamma quando in Siria lo venivano a prendere gli uomini vestiti di nero, per portarlo nella loro di scuole. Rieda invece dice che Kuampa è morto. Amjad non lo sa come piange una madre in quel caso: a lui non è mai accaduto.

Finalmente è il turno di Amjad di fare il portiere: ci tiene tanto. In quel momento i grandi cominciano a urlare, sempre più forte. I due bambini si voltano in direzione della grande rete grigia, rimanendo impietriti; a Rieda scivola la palla di mano. Gli adulti gridano e corrono verso la barriera di ferro, come una mandria in fuga; lanciano tutto quello che possono raccogliere.

Dall’altra parte i militari si avvicinano alla rete; altri ne arrivano da dietro la collina. Hanno grossi fucili grigi che sparano palle, da cui esce fumo che buca gli occhi e fa piangere. Amjad si tappa le orecchie con le mani perché lo spaventano di più le grida del fumo.
Qualcuno cerca di arrampicarsi sulla barriera ma i militari lo fanno cadere usando dei bastoni. Dalle mani di Amjad i suoni filtrano lo stesso. Sente un tonfo e un grido. Si volta. Rieda è a terra con la testa insanguinata. Accanto ha un proiettile che fuma ancora.

Amjad guarda la madre dell’amico che piange, lo stringe a sé; piange come sua madre quando venivano a prelevarlo gli uomini vestiti di nero, piange come la madre di Kuampa e allora Amjad pensa che forse anche Kuampa è morto davvero.

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