sabato 7 maggio 2011

Racconto - Short 03 - Il fantasma di plastica




RACCONTO


La costruzione del castello era quasi conclusa. Le mura, con feritoie, finestre e merli erano a posto; dovevano essere coperti alcuni alloggi e per l’accesso alle prigioni sotterranee si doveva trovare una porta adeguata.
Daniel era fiero della sua costruzione ma gli bastò gettare lo sguardo verso la torre maestra per ritrovare quel senso di inquietudine che quella particolare zona gli destava: non avrebbe trovato il coraggio di completare il modellino prima di Natale!
Era un regalo e ci teneva troppo a consegnarlo in tempo.
Daniel si alzò dalla sedia, spense la fortissima luce del faretto focalizzata sul tavolo.
Uscì lentamente ad occhi chiusi, l’ansia che lo assaliva: un rito consolidato.
Cercando di non pensare a cosa stava accadendo dietro di lui, chiuse la porta senza voltarsi e si avviò in cucina.

Un caro amico di Daniel era psichiatra.
C’era una tacita promessa tra i due: quando uscivano non dovevano parlare di lavoro.
Quella sera al pub, la regola s’infranse… ma Harry capì.

Vicino di casa di Daniel fino all’età del liceo, si era poi trasferito. Solo dopo l’università era tornato nella città natale per fare pratica in uno studio psichiatrico. Lì avrebbe continuato ad esercitare anche dopo l’apprendistato. Ritrovandosi per caso, i due erano tornai gli amici di un tempo: uscivano con le ragazze e talvolta si prendevano qualche serata “per uomini”, specie in concomitanza di qualche grande evento sportivo.

Prima di entrare nel delicato discorso, i due parlarono dei bei tempi andati, dell’imminente capodanno da trascorrere insieme, dell’epifania in montagna… poi fu Harry a sbattere il problema sul tavolo.
Chiese a Daniel di essere sincero e disposto a parlargli di ogni più piccolo problema, anche di natura personale o familiare. Solo con un’assoluta fiducia Harry avrebbe potuto essere certo di raccogliere le giuste informazioni.
Daniel non perse tempo e dopo aver vuotato il bicchiere rivelò al suo amico di avere a che fare con un fantasma.

Harry senza neppure accorgersene, sgranò gli occhi ma Daniel cercò di anticipare le sue impressioni, mostrandosi aperto a tutte le diagnosi.
Sapeva benissimo che un’affermazione simile era da pazzi ma preferiva non girare intorno all’argomento.

Vedeva un fantasma in camera sua, dentro un modellino che stava costruendo. Che fosse vero o semplicemente frutto della sua mente che stava vacillando, lo doveva stabilire il suo amico.

Quello non era il posto giusto per parlarne: troppa gente.
La prima seduta si svolse nell’auto del dottore.

Da oltre un mese, non appena Daniel spegneva la luce sul tavolo in camera sua, un’altra fievole luminescenza si faceva attrice nell’oscurità. Proveniva dalla torre maestra di un castello in scala, acquistato ad un mercatino delle pulci.
Le prime volte pensò a un difetto della vista. La sera aveva spesso gli occhi stanchi e quella passione per il modellismo non lo aiutava.
Fu dopo aver assemblato i componenti strutturali che lo vide la prima volta.
In mezzo a quella impercettibile, sfocata luce comparve… una figura umana che lo fissava.

Non definita ma come il soggetto di una foto scattata in movimento.
Era certo un parto della sua mente ma sostituì la lampada che illuminava il suo lavoro con un forte faretto, così da anestetizzare quella visione.
La sua paura più grande era che quella visione fosse dovuta ad un cattivo presentimento, ad un’imminente tragedia.

L’amico ebbe il sopravvento sul dottore, almeno per quella prima seduta. Escluse la pazzia; una spiegazione c’era, a volte la stanchezza e lo stress fanno brutti scherzi.
Si salutarono.
Il giorno dopo l’agenda di Harry era piena zeppa ma avrebbe rinunciato alla pausa pranzo pur di aiutare l’amico in difficoltà.

Per tutto il mese lo psichiatra cercò una soluzione. Non volle che l’amico smettesse di lavorare al suo Hobby: era come fuggire dal problema.
Un problema che però non lo mollava.
Alla fine escluse che Daniel fosse pazzo e tradusse il suo stato con un forte disagio emotivo, dovuto a un sovraccarico di impegni e problemi quotidiani che volle provare a sedare con una lieve cura di psicofarmaci.

La notizia gli fu data dieci giorni dopo dal padre.
Una tragedia.
Dalla finestra.

Harry non si dava pace per la morte di Daniel. Era certo di aver fallito con lui, non riuscendo ad evitarne il suicidio.

Mentre insieme ai familiari seguiva a piedi il carro funebre, complice l’ovattata connessione col mondo, ripensò a un’ossessione che l’amico gli aveva rivelato: quel fantasma lo poteva vedere solo lui, perché stava per morire.
Dall’istante che aveva fatto sua questa certezza, era cominciato il vero decadimento, l’ossessione degenerante che lo aveva portato a quel gesto assurdo.

Passarono inerti le festività.
Harry stava subendo un po’ di TV, senza riuscire a smettere di pensare al suo amico scomparso.
La luce bassa della piantana lo rilassava. Il fioco riverbero giallo lo cullava per l’imminente notte.
Lo distolse il campanello.
Dalla porta d’ingresso apparvero i genitori di Daniel, ancora affranti e con un sacchetto in mano.
Parlò il padre.
Sua moglie riusciva a stento a soffocare i singhiozzi del suo dolore.
Il genitore porse la busta: era un regalo.
Mentre il dottore lo apriva, la donna trovò la forza di confessare che il dono era da parte di Daniel, lo aveva comperato apposta per lui.
Non aveva fatto in tempo a consegnarlo.
Harry stracciò velocemente la carta regalo.
Ne uscì il modellino.
Il castello.
Per poco le sue mani non lo lasciarono cadere.

I due ospiti si ritirarono velocemente, salutando e ringraziando il padrone di casa per quanto era stato vicino al figlio.

Harry chiuse la porta e il suo sguardo piombò sulla torre maestra del castello.
All’interno di una fievole aurea di luce, vide due figure umane che lo fissavano...
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Marco Frosali

N.B. Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.

2 commenti:

Baltorr ha detto...

Carino anche questo racconto, anche se (a mio parere) meno coinvolgente dei due precedenti...

Anonimo ha detto...

Vai a fidarti dei modellini...