domenica 1 maggio 2011

Racconto - Short 01 - Il collezionista di mamme

RACCONTO

“Ho cominciato a collezionare mamme circa tre anni fa.
Allora non era così difficile, potevo farlo con calma, senza che nessuno mi mettesse fretta. Poi è arrivata la notorietà e la fama mi ha rovinato.
Non sono abituato al successo … ad essere considerato.
Da piccolo, il massimo per me, era restare da solo a fissare per ore un angolo buio della casa paterna.
In quell’angolo, succedevano tutte le cose del mondo.
Poi mi portarono via e abbatterono la casa. Quell’angolo buio si è trasferito dentro di me e mi segue ovunque.
La sola cosa che resta del mio passato? Cinquant’anni di ricordi. Sono l’unica cosa che vorrei poter dimenticare e non posso.
Il resto, tutto il resto… posso facilmente eliminarlo”.

Edna cercava l’abbonamento del bus. Era certa di averlo con sé e riguardava continuamente nelle tasche e nel portafoglio, nella speranza che gli fosse sfuggito al controllo precedente.
Accadde all’improvviso, la mano le tappò la bocca e cadde in un profondo sonno. Sonno senza sogni. Sogni che non avrebbe più fatto.
Si svegliò nell’oscurità di una stanza. Era nuda dalla vita in giù, legata e imbavagliata. Non riusciva a vedere bene ma sentiva che con lei c’era qualcuno.
Dal lato opposto si aprirono due occhi.
Il bavaglio impedì al suo urlo di esplodere ma il mugolio che ne uscì ebbe comunque effetto.
Prima della paura, Edna provò pena per quello sguardo ma non ebbe tempo di razionalizzare questa sensazione.
“Mi vuoi bene mamma?”
La voce era bassa, suadente e piagnucolosa. Edna non riuscì a contenere un singhiozzante, nevrotico pianto.
Lui era confuso, intimidito. Si alzò rimanendo attaccato alla parete opposta. Era completamente nudo e il freddo del muro, oltre che sulla carne, entrò nell’anima .
“Ho detto… mi vuoi bene mamma?”
Il cervello di Edna era già altrove. Quella situazione paradossale, insostenibile, terrorizzante, la portava lontano da lì, a ripensare al suo mondo, alle cose belle che l’attendevano fuori, a suo marito che l’amava tanto, al bimbo che doveva andare a prendere all’asilo…
La mano le carezzò la guancia, tolse il fazzoletto che le serrava le labbra e una voce diversa da quella udita prima mugolò …
Prendimi con te mamma”.
Edna implorò, sussurrando, che non le facesse male.
Lui carezzò i capelli lunghi, neri e chiese, stavolta con decisione: “mi vuoi bene mamma?”
Edna non rispose e ricominciò a piangere.
Lui esplose in una furia bestiale. La manata che sbatté sul viso della donna, aveva già fatto grossi danni.
Lui cominciò a piangere e a colpirla, prima a mani nude e poi con tutto quello che gli capitava a tiro.
Il mondo di Edna finì quella sera.

Non aveva trovato sua madre, nemmeno questa volta.
Un carillon suonò per ore prima che lui si rivestisse.

Il luogo dell’omicidio, come al solito, era una casa isolata, vuota. La vittima, una giovane donna, picchiata a morte anche stavolta, anche stavolta non c’era stata violenza sessuale.
La donna era morta in seguito a forti percosse.
Il commissario si sfilò i guanti in lattice e li gettò per terra.
Chiuse gli occhi e, come gli capitava spesso di fare, cercò di immaginarsi la scena dell’omicidio, come in sogno.
L’assassino, un uomo dal volto in nero, effettua il suo rito su quella disgraziata… vede tutto, come se fosse stato lì.
Alla fine, quando l’ultimo alito di vita si leva dalla donna, l’assassino placa la sua violenza disumana, si volta e sembra fissarlo. E’ come se da quel volto nero lui potesse sentire lo sguardo del maledetto che lo osserva, immobile, freddo.
Si era scoperto quasi insensibile, ormai, alla visione di corpi martoriati. Il collega che lo aveva preceduto era andato in pensione al momento giusto e lui si era trovato a raccogliere la dura eredità del “collezionista di mamme”.
I profili psicologici a sua disposizione, stilati dagli esperti, non gli erano d’aiuto. L’assassino colpiva giovani donne apparentemente senza particolari che determinassero un movente. L’unico elemento comune alle vittime era il fatto di avere figli piuttosto piccoli . La modalità per uccidere era sempre la stessa. Sembrava più uno scatto d’ira che una premeditazione. Dai referti disponibili avevano stabilito che l’atto dell’assassino era riconducibile a omicidi seriali legati a complessi edipici.
In due anni però, si era reso conto che la verità assoluta non si può studiare ma apprendere lentamente a discapito, purtroppo, delle vittime.
Gli faceva rabbia avere a che fare con un serial killer. Era come una qualifica “professionale”: prima assassino, poi serial killer e infine “Collezionista di mamme”, un nome che lo rendeva unico. I media poi, andavano a nozze con quella definizione e gli sembrava quasi di fare un complimento al carnefice… che probabilmente nemmeno leggeva i giornali e ignorava di essere stato qualificato come in un thriller.
C’era una domanda che teneva timidamente nascosta nelle mente, per non sentirsi banale; la solita, che ogni volta racchiudeva diversi e profondi significati: “perché?”.

Mary lanciò un’occhiata alla vetrina. Aveva i capelli a posto, trent’anni e un vestito perfetto. Sorrise e si incamminò verso il futuro.
Lui attese il momento giusto e la fece sparire. Divenne il suo destino. Dentro una stanza la storia si ripeteva. Sussurri, grida, sangue e una dolce melodia, colonna sonora della tragedia.
Ancora una volta lui non trovò la mamma e il tempo di Mary rimase il passato.

Il commissario questa volta non entrò. Attese fuori i colleghi della scientifica che riscaldarono il brodo: omicidio, presumibilmente avvenuto in seguito a violente percosse. L’omicida si era allontanato a piedi, fino a far perdere le tracce, confuso tra la folla, tra la normalità che rende tutti uguali.

Fenix sorseggiava il caffè. Mangiò l’ultimo pasticcino e appena finito di leggere un articolo sul giornale guardò l’ora, trasalendo. Lasciò sul tavolo il denaro, attirando l’attenzione del barista con un gesto.
Il grande parcheggio del centro commerciale fu l’ultima cosa che vide prima di riaprire gli occhi nel buio di un capannone industriale.
Fenix capì di non avere speranza. Sapeva chi aveva di fronte e di non aver niente da perdere. Questo la rendeva abbastanza razionale da controllare le sue emozioni.
“Mi vuoi bene mamma?”
Silenzio tra le fredde mura prefabbricate.
Una lacrima le sciolse il trucco.
“Mamma… vuoi bene al tuo bambino?”
Le parole uscirono di bocca da sole, per istinto.
“S-sì, sì, ti voglio bene”.
Riuscì a piangere senza singhiozzare.
Lui rimase in silenzio per alcuni minuti poi…
“Tu sei la mia mamma… davvero?”
“Sì bambino mio”.
“Mamma… vuoi tenere per sempre con te il tuo bambino?”

Se qualcuno fosse passato di lì in quel momento non avrebbe sentito né grida né rumori di alcun genere. Il silenzio era assoluto e lui sentiva l’alluvione di sangue pulsare nelle tempie che pian piano si placava. Non avviò il carillon.
Sorrise, guardò la donna di vent’anni più giovane di lui e cominciò a piangere felice.
L’abbracciò.

Il commissario entrò nel capannone e sebbene fosse buio completo, sapeva bene cosa avrebbe trovato. L’odore del sangue era insopportabile.
Accese la luce e il suo sguardo si fermò sulla scena per pochi secondi. Abbastanza per non scordare più quell’istantanea.
La giovane donna era distesa per terra, aveva la pancia aperta. Da lì usciva di tutto. Il sangue aveva sostituito il colore del cemento.
Il volto della donna era piegato in un dolore eterno.
Lui si era ucciso.
Una morte terribile, lenta. Un’agonia insostenibile.
Era nudo, in posizione fetale e aveva cercato di infilarsi nel ventre della donna. Si era avvolto nelle interiora di lei; con un coltello si era aperto la pancia e ve ne aveva infilato un’estremità. Il sorriso sul suo volto era quanto di più terribile e tenero il commissario avesse mai visto. Un sorriso che non riusciva a riscattare il killer, nemmeno con sé stesso ma che era servito a dargli pace.
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©Marco Frosali

N.B. Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.

2 commenti:

Baltorr ha detto...

Racconto terribile, angoscioso, angosciante, malato...
Ho ancora un po' di brividi...anche se un flash nella mia mente mi aveva fattointuire il finale...
Applausi!!!

Anonimo ha detto...

Una collezione terribile