venerdì 2 dicembre 2011

Racconto - SHORT 08 - Indaco






Ecco l'obiettivo.
Può essere maschio o femmina, solitamente adulto.
Mi scorge per un istante.
Poi rivolge uno sguardo interessato verso un muro bianco; qualche volta ha l’optional di grattarsi la testa.
Da alcuni anni estrae il cellulare, veloce come Tex e sembra che ricordi d’improvviso una telefonata da fare.

Si sta avvicinando…
Ci incrociamo...
E' in questo istante che il cellulare torna in tasca, la mano smette di rufolare tra i capelli e una sorta di rilassamento generale invade il suo corpo.

Ecco, in questo preciso momento, appena dopo che l’obiettivo ha pensato pressappoco “eh, questi sono i problemi, bisognerebbe ricordarcene quando ci si lamenta”, io divento indaco.

Esattamente in quell’istante esco dai loro pensieri perché (e non l’ammetterebbero mai), gli faccio più paura che pena.
Rappresento quello che avrebbero potuto essere.
Quello che i loro figli avrebbero potuto essere.

L’indaco si dimentica sempre.
Quando smette di piovere catene di gocce deridono la fredda scienza, diventando una meraviglia della natura: l’arcobaleno.
Lo puoi vedere per alcuni istanti.
Se ti fermi, per alcuni minuti.
Ma quando cerchi di ricordartene i colori ne manca sempre uno: l’indaco.

Io sono quell’istante, quel colore.
Poi rimango solo una sagoma in carrozzina che si allontana dalla sua giornata 


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Marco Frosali

N.B.: Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.


mercoledì 23 novembre 2011

Racconto - SHORT 07 - Sognata una notte d'estate




L’ho sognata una notte d’estate, che non avevo ancora vent’anni.
Una di quelle notti calde che i grilli si raccontano storie facendoti compagnia.
Ero piombato in uno di quegli istanti dilatati, cangianti, sconosciuti, contaminati dalle proprie esperienze.
Sogno.

Non so come ero arrivato a lei.
Aveva capelli lunghi, morbidi, di qualsiasi colore.
Gli occhi proiettavano una radiazione cosmica di fondo.
Era vestita. Non era vestita.
Non l’ho spogliata.
La baciavo con gli occhi bassi, per non offenderla, aperti per non perdermi.
Quella notte ci siamo saldati in un abbraccio che nessuna fiamma poteva sciogliere.
Abbiamo fatto l’amore… no, abbiamo scritto una poesia e l’abbiamo cantata alle comete che passavano di là.

I sogni ti fanno sbirciare le persone che incontri ma tanto più riesci a sfiorarle, maggiore è la profondità del ricordo.
E al risveglio senti che hai lasciato un pezzo, di là.
Tanto che saresti disposto a tutto pur di tornarci.
Ma non esistono navigatori in grado di farti ritrovare quel sentiero.

Per mesi ho percorso le vie della città: forse l’avevo intravista per caso e messa nel mio cuore.
Non l’ho più trovata.
Da allora l’ho cercata in ogni donna, in ogni sguardo, frugando in ogni lacrima o sorriso, dietro rossetti sgargianti, ciprie e pizzi decorati.
L’ho cercata in ogni tragedia, in ogni commedia.
L’ho cercata nei momenti di vittoria e in quelli di disfatta.
Non l’ho più trovata.
Nemmeno su youporn.


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Marco Frosali

N.B.: Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.

mercoledì 16 novembre 2011

Racconto - SHORT 06 - Buonanotte vecchio soldato






Buonanotte vecchio soldato.
Che ha visto spegnersi le stelle della speranza.
Buonanotte.
Che alla guerra non ha potuto dire no.
Ma lo dicesti a tuo nipote, quando ti chiese se avevi mai ucciso.
Quel no tentava di cancellare il ricordo di uomini, conosciuti solo dal di dentro.
Perché in quei momenti è una questione di sopravvivenza, di attimi: si salva il primo che preme il grilletto. Non serve coraggio per questo, basta la paura.

Quante volte ti sei chiesto, guardando oltre la cortina della polvere da sparo, perché eri lì?
Ascoltavi i tuoi passi stanchi, battere  terra e sangue bruciato.
Le suole nascondevano l’incertezza nei tuoi piedi.
Ad ogni passo avanti cresceva la voglia di tornare indietro.

Quale ideale ti hanno chiesto di seguire?
Il tuo?
Allora dov’è tua moglie da carezzare, la terra da coltrare, gli animali da nutrire?
Dov’è il tavolaccio degli arnesi sporchi, da oliare per il prossimo inverno?
Dov’è finito il tavolino del bar per sfidare gli amici a carte?
Dove li hanno cacciati i tuoi ideali? dietro quale falso nemico?

Buonanotte vecchio soldato, dormi il sonno eterno della pace che hai tanto anelato.
Una pace che dopo averla scritta sulla carta, la guerra l’hanno lasciata lì, dentro di te.
Da allora.
Buonanotte, per l’ultima volta rigido e sugli attenti, al cospetto di Dio, riposi nel ligneo giaciglio, insieme a una bandiera, una sigaretta e una medaglia.
Buonanotte vecchio soldato, là dove stai marciando ritroverai il tuo nemico.
Allora, davvero, la tua sfida con lui sarà soltanto a carte.

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Marco Frosali

N.B. Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.

lunedì 24 ottobre 2011

Cos’è successo "davvero"?

Logo del nuovo progetto di Paola Barbato, © degli aventi (atrenta, a detta dell'autrice) diritto


Insomma, parliamoci chiaro, il fumetto è come una seggiola: se ne fai un modello che non va, non vende e al mobiliere rimane un magazzino con ottime chance di trovare posti a sedere ma il portafoglio vuoto.
Ecco perché i cassetti di molti autori rimangono pieni di progetti seduti, in attesa che qualche rabdomante di vignette, trovi il terreno fertile per pubblicarne qualcuno.
Perché “il fumetto” non può permettersi costose ricerche di mercato, deve contare sull’istinto di editori e redattori, sulla sensibilità degli autori e sulla voglia di rischiare.

Paola Barbato ha avuto un’idea. 
A pelle, sembra che abbia lanciato una sfida.
In realtà è probabile che stia cercando di realizzare un suo desiderio: scrivere un fumetto che non sia legato all’avventura o all’indagine di qualche detective (fattori che in Italia sembra siano una sorta di convenzione imprescindibile per avere un più largo successo possibile) ma che parli della semplice storia di una vita umana. 
 
Il fumetto intimista è un genere piuttosto diffuso in altri paesi; da noi ha avuto poche occasioni di salire alla ribalta.
Probabilmente l’esperienza più forte in questo senso viene dalla “Kappa edizioni”, con l’antologico “Mondo Naif”.

Paola Barbato è un’autrice poliedrica che si è pian piano costruita una forte credibilità in vari settori della narrazione: dai fumetti alla narrativa fino ad arrivare alla televisione.
Ecco perché la cosa potrebbe funzionare... davvero.
Il richiamo mediatico del suo nome è forte; la sua notorietà potrebbe favorire un rapido passaparola, catturando l’interesse del pubblico appassionato del genere shojo manga (reso famoso dai giapponesi con storie intimiste, sentimentali, realiste e drammatiche), dei fans dell'autrice, e da chi è stato catturato dalla curiosità sorta intorno al progetto.
Per l’autrice l’esordio nel web ha un precedente illustre: alcuni capitoli della prima versione del suo primo romanzo “Bilico“ nacquero per essere ospitati in un sito web.

Davvero” è quanto di più azzeccato possa avere per titolo un fumetto che racconta la vita vera.

Per realizzare questo progetto la Barbato ha arruolato un gruppo di lavoro composto da autori già affermatii e non, che in meno di un semestre porteranno alla realizzazione di un fumetto a cadenza settimanale, fruibile sul sito internet http://www.davvero.org/ gratuitamente, dal 7 novembre 2011.

Tracce di "Davvero" sul WEB:

© Sergio Bonelli Editore

domenica 16 ottobre 2011

CLAUDIO CINELLI & C.




Ieri sera sono stato a teatro a vedere uno spettacolo dal titolo "Serata d'onore" di Claudio Cinelli, coadiuvato da una compagnia di altri artisti che hanno dato vita a una sarabanda di emozioni che andavano dall’ironico al caustico in un percorso che, a tappe regalava sorrisi, riflessione, lacrime, ricordi ed emozionanti dicotomie intercambiabili uomo-burattino gettando il pubblico in un’atmosfera surreale ma con un filo invisibile che teneva tutti agganciati alla realtà.

Si va dal ricordo dell'attore Giampiero Becherelli, scomparso nel giugno 2010 a monologhi e dialoghi, da danza pura a contaminazione tra balletto e teatro, da spettacolo circense alle ombre cinesi rielaborate con figure di luce… insomma, una panoramica su quanto il teatro può offrire ai suoi spettatori.

Non è la prima volta che vado a vedere questo strepitoso artista ma ogni volta riesce a sorprendermi: il suo lavoro testimonia l’evoluzione continua delle sue idee. Sarebbe stato facile inciampare sui suoi cavalli di battaglia (assurti al grande pubblico vincendo il concorso per talenti televisivi di Fantastico 7, nel 1986) e invece è riuscito sempre ad elaborare nuove e ingegnose idee.

Ecco alcuni link dove approfondire la sua conoscenza:



Un filmato su You Tube a lui dedicato:



venerdì 14 ottobre 2011

La forza del salice





E così me l’hanno detto.
Che sono pazza.
Dicono che i pazzi non sanno di esserlo.

E’ falso.

Quando ti risvegli dopo una settimana.
Vissuta tra parentesi.
Come se ti avessero messo in pausa.
E ti dicono che invece c’eri e ti hanno rigirato il cervello come un guanto, e rimpinzato di gocce che ti fanno parlare piano, muovere lentamente come quelle lumachine che escono dopo la pioggia.
Ma non ti sei accorta di niente.

Non ti sei accorta che i tuoi figli non li hanno portati a vedere la statua, che tuo marito ti imboccava senza trovare la strada perchè Fata Morgana era nelle sue lacrime.

Ti senti pazza…
Quando si raccomandano di non guidare, quando è ancora troppo presto per ricominciare a lavorare, quando tuo padre si trattiene con te e i nipotini finché non torna tuo marito e prima non lo aveva mai fatto, ti senti pazza anche se non lo sei.
Quando ti accorgi che chiunque ti guarda distrae lo sguardo perché sa.

Perché l’eco delle tue rovine trova sempre un muro dove rimbalzare

Allora devi prendere l’ultima acqua delle tue radici e far crescere quei pochi semi che ancora stringi in pugno.
Quello che nasce non è forte come una sequoia, non ha foglie verdi su di sé e non è mai primavera.


Senti cadere lungo i fianchi i mille fili della tua vita da riannodare e non riesci a prenderli tutti.
E ti accorgi che non si possono spezzare, sono il tuo passato e il tuo futuro.
In ognuno c’è un ricordo, in ognuno c’è una storia… hai solo bisogno di tempo per riordinarli tutti.

Ma intanto sono lì, intorno a te. E sono indistruttibili
Sono forti, come te, i mille fili della tua vita, ricordi che danzano intorno al tuo esile tronco in un giorno di tramontana.
Ma ti senti forte.

Come il salice che non sa di piangere.



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Marco Frosali

N.B. Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.

giovedì 6 ottobre 2011

ADDIO A STEVE JOBS

STEVE JOBS


1955 - 2011



Un rappresentante dell'evoluzione umana


E' triste pubblicare un altro necrologio. Ero indeciso se farlo o meno a così poco tempo dal precedente. Però quest'uomo, come Sergio Bonelli, è riuscito a far divampare quella scintilla che non tutti riescono a tenere accesa. In TV e negli altri media viene usata una miriade di aggettivi per descriverlo. Sono tutti validi. In realtà, uno dei suoi pregi è stata l'attenzione. Al mondo che stava cambiando, diventando sempre più veloce, ai prodotti che creava, a scegliersi i collaboratori.
Somigliava molto a un amico che non c'è più, che studiava informatica ma che non è riuscito a far divampare la sua scintilla per una terribile coincidenza del destino.

Un dolce ricordo poi, a quei pionieristici personal computer della Apple. Ce lo aveva il padre di un amico, quando facevo le scuole medie. Ogni volta che potevo giocarci mi sembrava di mettere un piede nel futuro, mentre oggi, siamo così abituati alla velocità della tecnologia che spesso è più facile essere delusi che stupiti.

lunedì 3 ottobre 2011

Ricordo di Sergio Bonelli

Qualche anno fa gli appassionati di Zagor come me, stavano ancora facendo di tutto per convincere la redazione a mettere in stampa lo “Zagorone”, quell’albone di oltre 200 pagine di cui si fregiavano altre serie (come Tex, Dylan Dog, ecc…) e che l’editore milanese ha dato alle stampe proprio lo scorso maggio, per festeggiare al meglio i 50 anni dello Spirito con la Scure.

Decisi di scrivere una lettera e mandarla per posta cartacea; avevo sentito dire che Sergio Bonelli le preferiva alle e-mail.

I primi di agosto di quell’anno argomentai tutte quelle motivazioni che, secondo il mio modesto parere, giustificavano la pubblicazione auspicata.

Una sola lettera, però, mi sembrava un po’ poco: si sarebbe potuta perdere, o dimenticare nel marasma di corrispondenza che riceve una casa editrice.
Pensai allora di scriverene una al giorno per tutto il mese di Agosto.

In ogni missiva inserivo una motivazione. Mi sforzai di alternare quelle romantiche a quelle tecniche cercando di non scadere nel ridicolo
Intorno al 10 del mese cominciò a diffondersi la notizia che la collana dedicata a Mister No avrebbe chiuso e che Bonelli stava scrivendo la storia finale.
Così, quotidianamente, si affiancò anche una richiesta per prolungare la vita in edicola del pilota amazzonico.


La mitica sede della Bonelli Editore.


Verso ottobre mi arriva una busta targata Bonelli.
Ne ho collezionate alcune nel corso degli anni (Bonelli rispondeva davvero a tutti!), ma era sempre una festa riceverne. Dopo averla rigirata un po’ per le mani, iniziò il rito dell’apertura.

Sul fondo spiccava la firma di  Sergio Bonelli che mi ringraziava dell’impegno con cui sostenevo le cause di Zagor e Mister No e che aveva apprezzato “tutte le e-mail che avevo inviato”.
Era accaduto qualcosa... non erano mail...
Ero stato uno sciocco! Nella mia testa vedevo Bonelli che quotidianamente apriva la cassetta delle lettere e portava manciate di carta sulla scrivania. Non avevo nemmeno immaginato che per forza di cose ci doveva essere qualche filtro per separare la pubblicità e le fatture dalla corrispondenza con i lettori.
Si era trattato di un semplice disguido ma ero dispiaciuto che non avesse saputo quanto mi ero voluto impegnare nel disertare la tecnologia.

Qualche giorno dopo mi giunse una nuova busta con l’intestazione della casa editrice: questa davvero inaspettata.

Conteneva delle scuse.
Sergio Bonelli credeva che le mie missive fossero mail, stampate e raccolte insieme.
Probabilmente erano state consegnate tutte insieme dopo le ferie e scambiate per posta elettronica stampata da un PC… come era ovvio pensare!
Invece, in seguito, aveva trovato tutta la mia corrispondenza con relative buste: mi ringraziò per la perseveranza e si scusò per aver frainteso.

Figuriamoci se ce ne era bisogno.

Ecco com’era Bonelli, un signore.

lunedì 26 settembre 2011

ADDIO SERGIO

SERGIO BONELLI
1932 - 2011



GRAZIE DI TUTTO


DEDICO A UNO DEI MITI DELLA MIA VITA UNA DELLE SUE CANZONI PREFERITE 

giovedì 22 settembre 2011

L'omino stecco

Ho trovato questo simpatico link in cui per un breve episodio siamo artefici del destino dell'omino stecco.
La trovo un'idea simpatica che mi piaceva fissare su queste pagine.
L'immagine sotto l'ho trovata su Google e rimanda a questo link




Cliccare nel link sopra l'immagine per accedere al giochino
Copiright degliaventi diritto

Si sciolgono i REM


Si sciolgono i REM? Pare di sì.

Ho il privilegio di essere cresciuto senza preconcetti.
Collegando ciò alla musica, mi sono trovato in età adulta ad accorgermi di aver seguito molti generi e correnti e di riuscire, in un’ipotetica “platinum”, a infilare davvero di tutto.

Questo mi permette di ripensare al passato e vedermi alla maggiore età, scoprire che adoravo i Queen senza sapere che erano loro. Potere ascoltare musicassette dei Manowar, Angra o Kiss e apprezzare qualcosa di tutti (mentre per i Pantera non ci sono state speranze).
E’ stato inutile cercare di capire quale magia riusciva a farmi emozionare indifferentemente dalla musica classica, quella leggera, pop o disco…
C’erano tutti. Gli U2, i Pooh, Baglioni, Rino Gaetano, De Andrè, i grandi pezzi degli anni ’60, The Boss, il Rock, uno spruzzo di Blues…
E poi c’era “losing my religion” che rivedevo spesso in videoclip, quando si potevano vedere solo su “Videomusic”. 
L’attesa di un particolare pezzo lo rendeva importante e restava impresso a lungo.

Questo pezzo riusciva a regalarmi quel sottile filo di angoscia e speranza ogni volta che l’ascoltavo.
Finito il video, riuscivo persino a sentirmi migliore e ad avere nuove prospettive.

Oggi mi sento un pò Brizzi, con il suo Jack Frusciante, perché per me i REM appartenevano a quel particolare immaginario in cui speri che tutto rimanga immutato. 
Mi ero perso lo scioglimento dei Pink Floyd (scoperti tardi); mi aveva appena sfiorato quello dei Duran Duran (all’epoca, nella mia compagnia, era considerato un gruppo per “fighette”); avevo apprezzato quello dei Queen in memoria del grande Freddy Mercuri…

Oggi aver letto dei REM mi ha davvero colpito. Chissà quali sono i motivi, se li potremo sapere o se alla fine m’importa davvero saperli.
Il problema è che adesso vado sul Tubo, “guardascolterò” Losing my religion con sottofondo mentale: “adesso non ci sono più”.

RIP REM e grazie.




sabato 17 settembre 2011

DYLAN DOG

Il 26 settembre 2011, Dylan compie 25 anni.
Voglio prima di tutto salutare e ringraziare Tiziano Sclavi, che ha donato all'umanità un'esperienza narrativa come poche altre.
Ad agosto il n° 300 a colori, festeggia l'importante traguardo.
A realizzarlo due veterani: Pasquale Ruju (il 2° sceneggiatore dylaniano per materiale pubblicato) e Angelo Stano.

Cover del n° 300 - © delle immagini: Sergio Bonelli Editore














A me questo episodio è piaciuto.
Oltre agli azzeccatissimi colori dello studio Rudoni e ad uno Stano che continua a evolvere il suo segno in maniera incredibile, ho trovato ottima l'idea di recuperare la mitologia della serie, fissando alcuni punti che negli ultimi anni si erano un pò persi.
Insomma, Dylan è nato oltre 300 anni fa.
Un fatto che col passare del tempo poteva diventare ingombrante e che dopo la storia del ventennale (241/242), poteva essere accantonato.

Il piccolo Dylan nel 1686


Adesso la trama è lì, pronta per essere ampliata. Ho trovato Ruju a Narni (in occasione di Narniafumetto) e mi ha confessato di preferire che non si sappia troppo del passato di un protagonista dei fumetti.
Credo di comprendere questo pensiero (anche se adoro le storie retrospettive); in fin dei conti narrare tutto il passato, rischia di banalizzare un eroe o precludergli degli sviluppi.
Ho letto qua e là dell'inutilità di riproporre il sosia di carta di Angelo Stano "Crandall Reed": che nel n° 25 sembra essere il creatore della trama vissuta dai protagonisti in quell'episodio.

Crandall Reed, sosia di Angelo Stano e creato nel n° 25 da Tiziano Sclavi


Io trovo che oltre ad essere un omaggio alla pietra miliare "Morgana", sia una nota metafisica (tralasciamo la grouchata di chiederci quale sia l'altra metà, và!) in un momento in cui sempre più autori mischiano il mondo di carta con quello reale (Ortolani in Ratman, Bartoli/Recchioni in John Doe e, in passato, Berardi/Milazzo su Ken Parker o Grant Morrison su Animal Man). Ricordo anche quel tocco surreale della Barbato nel n° 228 (Oltre quella porta).

Ecco dove trovare notizie del Nostro in giro per la rete: Sergio Bonelli Editore , Il sito degli instancabili realizzatori della fanzine "Dylandogofili" , il mitico "cravenroad7" (sito e forum) e Portale "mydylandog".
Grazie a tutti coloro che si impegnano a fornirci le news dal mondo "dylaniato"!

domenica 31 luglio 2011

POESIA - Il Morto

Il morto stecchito
Il morto schiacciato
Il morto sparito
Il morto trovato

Il morto che incanta
Il morto al salterio
Il morto per finta
Il morto sul serio

E l’uomo che veste il morto: “m’inventro…”
Lo muove e lo sposta con mille cure
Guarda un involucro “…e chi c’era dentro…”
Si chiede “…dov’è che è andato a finire?”.

Il morto per caso
Il morto ammazzato
Il morto  appeso
Il decapitato

Il morto da poco
Il morto che tarda
Il morto per gioco
Il morto che parla

Per chi all’obitorio il morto giace,
Ci son meccanismi da sempre in uso
Riceve fiori, cordoglio, una prece,
Finché giunta l’ora non viene chiuso.

Il morto normale
Il morto che … insomma
E’ rimasto uguale
Sembra che dorma

Il morto da tempo
Quello di giornata
Il morto “è uno scempio!”
Il morto a chiamata

E le Parche giudicesse mai considerate
Tendon sul tuo capo la lama di rasoio
E svolgi le matasse con giornate avolterate
Finché Atropo ti taglia dal suo filatoio

Il morto per sbaglio
Il morto per scelta
Il morto a serraglio
L'immagine è © della Sergio Bonelli Editore
Il morto alla svelta

Il morto nel sonno
Il morto cremato
Il morto in autunno
Quello bendato

E a guardar tutti seduta e arcigna
La morte che gufa, la morte che ghigna


© Marco Frosali
 
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N.B. Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.
 

mercoledì 13 luglio 2011

DELFINI

Ho pianto guardando i delfini danzare.
Carezzarli è una sensazione che non si può riprodurre a parole.

martedì 5 luglio 2011

Racconto - SHORT 04 - La porta nel deserto





Il viandante si era perduto.
Davanti a lui, sabbia gialla a perdita d’occhio.
Il sole lo faceva sudare e temeva che la poca acqua che aveva con sé, non sarebbe bastata.
Il deserto appariva lastricato d’oro; microscopici cristalli di minerali mimetizzati nel terreno brillavano come lampadine, obbligandolo a volgere lo sguardo o chiudere gli occhi.
Dopo qualche ora gli sembrò che qualcosa all’orizzonte fosse mutato.
Avvicinandosi prese forma un vecchio dalla pelle nera, arsa dal sole e rigata dal tempo che stava seduto, immobile su una roccia, a fissare il vuoto. Qualche metro più avanti c’era una porta.
Una porta nel deserto.
Non portava da nessuna parte quella porta.
Anzi la porta non c’era…
Cosa diavolo ci faceva lì lo scheletro di una porta?

Il viandante si avvicinò al vecchio e gli chiese cosa fosse quell’oggetto.
Il vecchio osservò il viandante per un po’ poi si voltò verso l’artefatto, lo guardò a lungo.
Poi rispose gentile – E’ una porta – .
Il viandante continuava a fissare quelle quattro assi inchiodate.
Ad un tratto il suono armonioso della voce calma, rauca, profonda e saggia del vecchio quietò il silenzio.
Rivelò che attraversando quella porta, avrebbe trovato il suo destino.
Il viandante stava per attraversarla... ma si fermò.
Si rivolse ancora al vecchio.
-         Conosci qualcuno che l’ha attraversata?
-         No, finora non l’ha attraversata nessuno.
-         E perché?
-         Chi lo sa… tutti finora hanno proseguito.
Il viandante fissò per alcuni secondi l’oggetto della discussione, quindi proseguì con la sua litania:
-         Voglio dire: per male che vada non accade niente, no?
-         Ti ripeto: che io sappia, nessuno finora l’ha mai attraversata.
-         E tu vecchio, l’attraverserai?
-         Mah, ero qui che ci pensavo ma credo che proseguirò.
-         Ma perché?
-         Non so, dimmelo tu perché dovrei passare attraverso questa porta!
-         Accidenti vecchio, è un rettangolo di legno in fin dei conti!
-         Ah sì, a te l’ha detto qualcuno?
-         …No.
-         E allora, come lo sai che non mi accade qualcosa di terribile?
-         Beh…
-         Allora facciamo così, io l’attraverserò subito dopo di te.
Il viandante si fece serio, poi salutò il vecchio e si allontanò tra le dune, guardandosi bene dal compiere il grande salto nell’ignoto… sparì in un attimo.

Il vecchio rimase serio per alcuni minuti poi, ad un tratto, scoppiò a ridere come un matto.

A una decina di metri da lui, da un piccolo capanno invisibile, nascosto tra le dune, uscì un giovane africano che guardò severo l’anziano:
-         Nonno! L’hai fatto di nuovo!
-         He he, ebbene sì, lo ammetto…
-         Non posso credere che un uomo della tua età, stimato e ritenuto saggio da tutta la sua comunità, si diverta a fare questi scherzi a dei poveri pellegrini. Vai a prendere quel disgraziato e offrigli da bere!
-         Caro nipote, quando sarai giunto alla mia età non ci sarà molto che ti farà ridere e, credimi, non c’è niente di più divertente che prendere per il sedere certi occidentali superstiziosi.
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 Marco Frosali

N.B. Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.

sabato 2 luglio 2011

Dr. Morgue


L'immagine pubblicata è © Star Comics - Porretto- Mericone e tratta dal blog "linkato" sopra.



E' un fumetto edito dalla casa editrice Star Comics. Durata prevista: 6 numeri bimestrali con inizio ad Aprile 2011.

Canada. Il protagonista è Yoric Malatesta, un coroner che "vive" le morti che il suo lavoro gli mette di fronte. Ha una particolare forma di autismo (è un asperger) che rende complicate le normali iterazioni sociali con il prossimo ma lascia la possibilità a chi ne è affetto, di poter essere autosufficiente. Questa particolarità fornisce inedite e interessanti scene in cui si confronta con i colleghi.

Uno degli aspetti che mi incuriosisce di più è che la malattia del protagonista tende a rendere impossibile esternare le sue emozioni e la sua sensibilità. Per farlo Yoric deve assumere un atteggiamento apparentemente freddo e calcolatore ma nonostante ciò, il continuo tentativo di restare attaccato all'umanità che lo circonda diventa l'aspetto più interessante del suo carattere.

Dietro ai misteriosi fatti di cronaca nera che accadono a Montreal sembrano esserci le oscure macchinazioni di alcuni individui che occupano alte cariche politiche.

Consigliato!

domenica 19 giugno 2011

SCLS Magazine

@ degli aventi diritto



© Sergio Bonelli Editore

E' il Magazine dedicato al personaggio di Zagor, edito da 50 anni da Sergio Bonelli Editore. Al suo interno sono ospitati articoli e dossier sul mondo dello Spirito con la Scure (nome indiano del personaggio).
In questo numero ho avuto l'onore di pubblicare una disamina sulle storie in retrospettiva dell'eroe creato da Bonelli; quelle storie uscite nel corso degli anni ma ambientate prima del n° 1 della serie.

domenica 15 maggio 2011

Lo vorrei davvero, davvero.

Allora, pensi di saper distinguere
il paradiso dall'inferno?
I cieli azzurri dal dolore?
Sai distinguere un campo verde
da una fredda rotaia d'acciaio?
Un sorriso da un pretesto?
Pensi di saperli distinguere?
Ti hanno portato a barattare i tuoi eroi per dei fantasmi?
Ceneri calde con gli alberi?
Aria calda con brezza fresca?
Un freddo benessere con un cambiamento?
e hai scambiato un ruolo di comparsa nella guerra
con il ruolo da protagonista in una gabbia?
Come vorrei, come vorrei che fossi qui
Siamo solo due anime sperdute
Che nuotano in una boccia di pesci
Anno dopo anno
Corriamo sullo stesso vecchio terreno
E cosa abbiamo trovato?
Le solite vecchie paure
Vorrei che fossi qui


E' la troduzione pescata su Google di questa bella cosa qui sotto.





Salutami Sandman, Roberto, ovunque tu sia.



sabato 7 maggio 2011

Racconto - Short 03 - Il fantasma di plastica




RACCONTO


La costruzione del castello era quasi conclusa. Le mura, con feritoie, finestre e merli erano a posto; dovevano essere coperti alcuni alloggi e per l’accesso alle prigioni sotterranee si doveva trovare una porta adeguata.
Daniel era fiero della sua costruzione ma gli bastò gettare lo sguardo verso la torre maestra per ritrovare quel senso di inquietudine che quella particolare zona gli destava: non avrebbe trovato il coraggio di completare il modellino prima di Natale!
Era un regalo e ci teneva troppo a consegnarlo in tempo.
Daniel si alzò dalla sedia, spense la fortissima luce del faretto focalizzata sul tavolo.
Uscì lentamente ad occhi chiusi, l’ansia che lo assaliva: un rito consolidato.
Cercando di non pensare a cosa stava accadendo dietro di lui, chiuse la porta senza voltarsi e si avviò in cucina.

Un caro amico di Daniel era psichiatra.
C’era una tacita promessa tra i due: quando uscivano non dovevano parlare di lavoro.
Quella sera al pub, la regola s’infranse… ma Harry capì.

Vicino di casa di Daniel fino all’età del liceo, si era poi trasferito. Solo dopo l’università era tornato nella città natale per fare pratica in uno studio psichiatrico. Lì avrebbe continuato ad esercitare anche dopo l’apprendistato. Ritrovandosi per caso, i due erano tornai gli amici di un tempo: uscivano con le ragazze e talvolta si prendevano qualche serata “per uomini”, specie in concomitanza di qualche grande evento sportivo.

Prima di entrare nel delicato discorso, i due parlarono dei bei tempi andati, dell’imminente capodanno da trascorrere insieme, dell’epifania in montagna… poi fu Harry a sbattere il problema sul tavolo.
Chiese a Daniel di essere sincero e disposto a parlargli di ogni più piccolo problema, anche di natura personale o familiare. Solo con un’assoluta fiducia Harry avrebbe potuto essere certo di raccogliere le giuste informazioni.
Daniel non perse tempo e dopo aver vuotato il bicchiere rivelò al suo amico di avere a che fare con un fantasma.

Harry senza neppure accorgersene, sgranò gli occhi ma Daniel cercò di anticipare le sue impressioni, mostrandosi aperto a tutte le diagnosi.
Sapeva benissimo che un’affermazione simile era da pazzi ma preferiva non girare intorno all’argomento.

Vedeva un fantasma in camera sua, dentro un modellino che stava costruendo. Che fosse vero o semplicemente frutto della sua mente che stava vacillando, lo doveva stabilire il suo amico.

Quello non era il posto giusto per parlarne: troppa gente.
La prima seduta si svolse nell’auto del dottore.

Da oltre un mese, non appena Daniel spegneva la luce sul tavolo in camera sua, un’altra fievole luminescenza si faceva attrice nell’oscurità. Proveniva dalla torre maestra di un castello in scala, acquistato ad un mercatino delle pulci.
Le prime volte pensò a un difetto della vista. La sera aveva spesso gli occhi stanchi e quella passione per il modellismo non lo aiutava.
Fu dopo aver assemblato i componenti strutturali che lo vide la prima volta.
In mezzo a quella impercettibile, sfocata luce comparve… una figura umana che lo fissava.

Non definita ma come il soggetto di una foto scattata in movimento.
Era certo un parto della sua mente ma sostituì la lampada che illuminava il suo lavoro con un forte faretto, così da anestetizzare quella visione.
La sua paura più grande era che quella visione fosse dovuta ad un cattivo presentimento, ad un’imminente tragedia.

L’amico ebbe il sopravvento sul dottore, almeno per quella prima seduta. Escluse la pazzia; una spiegazione c’era, a volte la stanchezza e lo stress fanno brutti scherzi.
Si salutarono.
Il giorno dopo l’agenda di Harry era piena zeppa ma avrebbe rinunciato alla pausa pranzo pur di aiutare l’amico in difficoltà.

Per tutto il mese lo psichiatra cercò una soluzione. Non volle che l’amico smettesse di lavorare al suo Hobby: era come fuggire dal problema.
Un problema che però non lo mollava.
Alla fine escluse che Daniel fosse pazzo e tradusse il suo stato con un forte disagio emotivo, dovuto a un sovraccarico di impegni e problemi quotidiani che volle provare a sedare con una lieve cura di psicofarmaci.

La notizia gli fu data dieci giorni dopo dal padre.
Una tragedia.
Dalla finestra.

Harry non si dava pace per la morte di Daniel. Era certo di aver fallito con lui, non riuscendo ad evitarne il suicidio.

Mentre insieme ai familiari seguiva a piedi il carro funebre, complice l’ovattata connessione col mondo, ripensò a un’ossessione che l’amico gli aveva rivelato: quel fantasma lo poteva vedere solo lui, perché stava per morire.
Dall’istante che aveva fatto sua questa certezza, era cominciato il vero decadimento, l’ossessione degenerante che lo aveva portato a quel gesto assurdo.

Passarono inerti le festività.
Harry stava subendo un po’ di TV, senza riuscire a smettere di pensare al suo amico scomparso.
La luce bassa della piantana lo rilassava. Il fioco riverbero giallo lo cullava per l’imminente notte.
Lo distolse il campanello.
Dalla porta d’ingresso apparvero i genitori di Daniel, ancora affranti e con un sacchetto in mano.
Parlò il padre.
Sua moglie riusciva a stento a soffocare i singhiozzi del suo dolore.
Il genitore porse la busta: era un regalo.
Mentre il dottore lo apriva, la donna trovò la forza di confessare che il dono era da parte di Daniel, lo aveva comperato apposta per lui.
Non aveva fatto in tempo a consegnarlo.
Harry stracciò velocemente la carta regalo.
Ne uscì il modellino.
Il castello.
Per poco le sue mani non lo lasciarono cadere.

I due ospiti si ritirarono velocemente, salutando e ringraziando il padrone di casa per quanto era stato vicino al figlio.

Harry chiuse la porta e il suo sguardo piombò sulla torre maestra del castello.
All’interno di una fievole aurea di luce, vide due figure umane che lo fissavano...
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Marco Frosali

N.B. Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.

martedì 3 maggio 2011

Racconto - Short 02 - IOprimopscreen.jpg

RACCONTO

Appena sveglio si ricordò che quella mattina sarebbe stata una delle migliori degli ultimi tempi.
Il pomeriggio precedente aveva acquistato il nuovo computer; entro un’ora il tecnico sarebbe venuto ad installarlo.
La stessa cifra spesa per cenare in un ristorante decente, sarebbe servita per far allestire la sua nuova meraviglia tecnologica da mani esperte.
Si dispiaceva di non poter assemblare da solo il PC ma non era pratico in certi lavori, temeva di rovinare qualcosa e avere comunque bisogno di assistenza... per lui, dietro a quel genere di lavoro c’era un po’ di magia.
Non riusciva (e forse non voleva) capire fino in fondo; preferiva credere che dietro a tanta fredda tecnologia, potesse nascondersi qualcosa di misterioso.

Salutato il tecnico iniziò a muovere i primi passi nel nuovo software.
I programmi li sapeva installare da solo. Ne aveva di tutti i generi. Molti acquistati in previsione del nuovo computer.
Quello appena sostituito era così obsoleto da non venire nemmeno citato nei requisiti minimi di sistema dei software.
I giorni successivi lo videro fare le ore piccole davanti al video. Era fiero di aver condotto a buon fine la connessione WiFi.
Navigava spesso.
Il tempo trascorso in chat e forum era pari a quello che avrebbe potuto spendere in locali da ballo o pub se solo avesse voluto andarci… ma era un solitario e preferiva non interagire troppo con persone in carne e ossa (in realtà non aveva una grande disponibilità di amicizie, tale da permettergli di divertirsi in certi luoghi).
Ormai si era convinto che il computer fosse il suo più grande amico. Gli offriva la possibilità di conoscere una miriade di persone che erano disposte al dialogo senza compromessi.
Ultimo tocco: uno sfondo.
Ne disponeva un numero illimitato ma fu l’ego ad avere la meglio: inserì un suo primo piano, a cui avevano fatto i complimenti persino alcune ragazze!
Nato per essere provvisorio, sarebbe divenuto poi quello definitivo; non tanto per l’intenzione di lasciarlo, quanto per il fatto che si dimenticava di cambiarlo.

Aveva un grande difetto il nostro amico. Se nella vita reale mai avrebbe pensato di imporsi o scontrarsi con qualcuno, nella sua vita sociale virtuale era molto più volitivo, tanto da avviare alcune interessanti discussioni, senza risparmiare critiche o pesanti dichiarazioni.
Nella vita, comportandosi in questo modo, ci si fanno spesso dei nemici… anche nella rete!
I giorni passavano e il suo PC vedeva pericolosamente diminuire i Gigabyte liberi sull’Hard Disk.
A forza di comprimere, archiviare e masterizzare file su CD, non sapeva più nemmeno lui bene tutto quello di cui disponeva nell’hard disk.
Non riusciva a gettare via niente. Salvava tutto, evitava di cestinare file anche se sapeva che non gli sarebbero serviti.

Era abituato al suo faccione che capeggiava sullo sfondo dello schermo.
Le icone sul desktop erano sistemate sul suo volto, ridisegnandolo in uno stile “pop-art informatico”: l’immagine era indistinguibile.
Solo dopo qualche settimana, notò che qualcosa era cambiato.
Sistemando quel caos sullo schermo, quando la foto del suo volto fu libera, qualcosa catturò la sua attenzione.
Spense la luce per non avere contrasti e si avvicinò allo schermo.

L’immagine del suo primo piano sembrava diversa.
Non riusciva più a trovare il file originale (aveva scattato quella foto in digitale; quindi non esisteva materiale cartaceo) e disponeva solo di quello salvato nelle impostazioni dello sfondo. Aprì l’immagine a tutto schermo e la osservò attentamente… si era certamente sbagliato… e poi le proprietà del file non indicavano nessun aggiornamento rispetto alla sua creazione.
La sera aveva già scordato quest'inezia. Decise di cambiare e passò a un panorama marziano; una di quelle foto scattate al pianeta rosso dai Rover in missione.

Dopo qualche mese si dedicò a una nuova pulizia e decise di cambiare immagine … scoprì di avere ancora in memoria la foto del suo primo piano.
La inserì sul desktop.
Adesso era certo che qualcosa non andava; stampò l’immagine e corse allo specchio… sembrava leggermente diverso da come lui si vedeva.
Gettò la stampa nel cestino e corse a cambiare sfondo: gli dava un’angoscia incredibile. Sorrideva per come si sentiva ridicolo a provare quelle sensazioni.

Nei mesi successivi la sua vita corse su un binario incredibilmente dritto. L’unica cosa che cambiava era il rapporto con gli utenti di forum e chat. Con un paio era davvero alle corde. Alcuni lo avevano pure minacciato ma lui era certo che non lo avrebbero trovato e si curava di mantenere il massimo riserbo della sua identità, divertendosi a giocare in incognito e imbastendo discussioni sui contenuti delle quali nemmeno era convinto... era irriconoscibile nel suo ruolo di “navigatore”!

Dopo l’estate, in seguito a due settimane trascorse in montagna, si mise a dare un nuovo aspetto al PC. Era una prassi che si ripeteva ormai semestralmente.
Si imbatté nuovamente nella sua faccia. Si sentì quasi sciocco per l’impressione che gli fece trovarsi di fronte quell’immagine.
Decise di eliminare completamente il file così da non vederlo più, nemmeno per sbaglio; prima però ne fece una stampa.
Provò a fare un nuovo confronto con lo specchio ma la foto era ormai vecchia di un anno e qualche differenza doveva pur esserci… solo che la ricordava venuta meglio.
Mise quella stampa da parte.

Passarono i mesi, molti mesi.
Dopo due anni di onesto lavoro, il suo PC ebbe bisogno di un potenziamento di Ram, Hard Disk e un aggiornamento dei programmi.
Chiese aiuto al tecnico installatore che, dietro a una sua precisa richiesta, non resettò il sistema ma si limitò ad aggiornarlo.
Ripreso possesso della macchina, si dedicò per un’intera giornata a personalizzare nuovamente il PC.
Da un angolo recondito di una cartella di sistema, spuntò fuori un file che lo fece ammutolire: “IOprimopscreen.jpg”
Non aveva il coraggio di aprirlo… poi l’indice cliccò quasi involontariamente sul mouse e si aprì l’immagine che per mesi era stato lo sfondo del suo desktop. Adesso vedeva bene che quella foto era diversa. Ne fece una nuova stampa e la confrontò con quella che mesi prima aveva archiviato… era come invecchiata! Tra le due foto si distingueva chiaramente un invecchiamento e un leggero ingrassamento… eppure lui non era oggi messo così male come nell’ultima immagine…
Avrebbe trovato ridicola quella situazione se solo non avesse riguardato lui.
Gli sembrava di vivere in un moderno “Ritratto di Dorian Gray”…

Negli ultimi due anni non si era mai ammalato; nessun capello bianco si era aggiunto a quelli che già aveva, non era ingrassato, pur vivendo da sedentario e mangiando schifezze con sregolatezza.
Era davvero turbato ma si sentiva anche sciocco a pensare che potesse accadere una cosa simile.
Non gli costava nulla tenere sotto controllo la situazione.
Da allora si fece puntualmente foto settimanali, utilizzando una vecchia macchina con pellicola, che avrebbe confrontato con quella digitale almeno ogni due mesi.

Non dovette attendere oltre il successivo bimestre per entrare davvero in una spirale di terrore: la foto contenuta nel PC era peggiorata mentre quelle scattate settimanalmente, tolte le ovvie differenze di pettinatura e espressione, corrispondevano al momento dello scatto.
Si ricordò poi di una foto di famiglia scattata il suo ultimo Natale felice, quello di qualche anno prima a casa di suo zio. Si precipitò a recuperarla dal parente. Tornato a casa confrontò la foto al PC con quella di famiglia che risalivano all’incirca allo stesso periodo.
Erano così differenti da lasciare senza fiato. Nell’ultima immagine stampata erano ben evidenti alcune rughe intorno agli occhi, i capelli molto più bianchi e radi, le guance appena calanti…
Spense il PC e si distese a letto… cercò di radunare un po’ le idee ma non riusciva a capirci niente.
Dopo alcuni giorni di black out, si decise a riaccendere il PC. Cancellò ancora l’immagine, aggiornò l’antivirus e provò a riavviare il sistema: non era cambiato niente; il file del suo volto era ricomparso.
Decise di abbandonare il PC. Formattò l’hard disk che rimase spento per alcuni mesi.

Era maledettamente solo. Vivere senza nemmeno poter parlare con le conoscenze virtuali, lo rendeva infelice. Si fece crescere la barba, cambiò pettinatura e la sua vita divenne fredda e vuota.
Il piccolo appartamento dove viveva era una specie di porcile. Sul terrazzo sostavano sempre almeno due o tre sacchi di spazzatura. Usava gli stessi vestiti per un’intera settimana e aveva smesso di stirarli. Sua madre soffriva di artrosi e da anni non andava a trovarlo. Era lui che si recava a casa dei suoi, solo per le feste comandate e in quelle occasioni si rassettava un po’.
Perse il lavoro.

Quest’ultimo fatto lo gettò in una disperazione totale.
Aveva bisogno di riemergere, di lasciarsi alle spalle quell’incubo che non si era mai spiegato completamente ma da cui era rimasto così scosso.
Doveva esserci una spiegazione… e doveva trovarla!
Accese il computer e si ricordò che l’ultima volta aveva formattato il sistema. Reinstallò i programmi essenziali per potersi collegare in rete.
Aveva un messaggio, l’unico che gli era arrivato.
Conteneva un file allegato con un’estensione sconosciuta. Era senza oggetto e la firma del mittente era una sorta di codice… un virus? Non gli importava, preferiva rischiare.
Lo aprì.
Spalancò gli occhi fissando il video.
Era la sua immagine, quella che doveva essere scomparsa con tutto il contenuto del disco fisso.
La faccia era scavata, con gli zigomi ben evidenziati. Gli occhi bordati di nero, le labbra violacee. Le pupille paludose, gialle e spente. La testa quasi completamente calva e la pelle sciupata. Si alzò e cadde per terra, sbattendo la testa in uno spigolo del letto. Prima di svenire si gettò sul materasso e si lasciò andare.

Una settimana dopo i vigili del fuoco sfondarono la porta del piccolo appartamento. L’odore era pestilenziale. Il corpo giaceva privo di vita sul letto. Sopra il lenzuolo sporco erano seminate ciocche di capelli.
Il cadavere era così magro e sciupato come se l’uomo fosse stato gravemente malato.
Sul video acceso capeggiava il suo primo piano.
Il vigile osservò l’immagine: doveva risalire a diversi anni prima, tanto era in forma e in salute. Dette un’occhiata al computer… vuoto!
Escluso un file d’immagine, nel sistema non c’era nemmeno un byte! Prima di spegnere il computer, l’agente confrontò il ritratto sul video con il cadavere sul letto: come poteva ridursi così una persona! La magrezza non era data dalla morte, quel povero disperato doveva avere sofferto per mesi.
L’autopsia stabilì che era morto per arresto cardiaco in seguito a infarto ma che da tempo soffriva di un male incurabile.

Il suo male, da anni, si era come bloccato, senza più deteriorare il suo corpo.

Nessuno, nemmeno i loro creatori sanno bene cosa si celi dietro a circuiti stampati, chip e componenti elettroniche. Dove vanno a finire i file cancellati definitivamente? In un luogo misterioso del sistema, in una sorta di buco nero virtuale in cui forse si raccolgono i dati di ogni computer, una dimensione sconosciuta, nata da un innato istinto di sopravvivenza…
In fin dei conti il nome dello stato di un computer privo di ogni programma è “bios”… e non ha niente di elettronico, no?


Immagine tratta dal film "Dorian Gray"

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Marco Frosali

N.B. Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.

domenica 1 maggio 2011

Racconto - Short 01 - Il collezionista di mamme

RACCONTO

“Ho cominciato a collezionare mamme circa tre anni fa.
Allora non era così difficile, potevo farlo con calma, senza che nessuno mi mettesse fretta. Poi è arrivata la notorietà e la fama mi ha rovinato.
Non sono abituato al successo … ad essere considerato.
Da piccolo, il massimo per me, era restare da solo a fissare per ore un angolo buio della casa paterna.
In quell’angolo, succedevano tutte le cose del mondo.
Poi mi portarono via e abbatterono la casa. Quell’angolo buio si è trasferito dentro di me e mi segue ovunque.
La sola cosa che resta del mio passato? Cinquant’anni di ricordi. Sono l’unica cosa che vorrei poter dimenticare e non posso.
Il resto, tutto il resto… posso facilmente eliminarlo”.

Edna cercava l’abbonamento del bus. Era certa di averlo con sé e riguardava continuamente nelle tasche e nel portafoglio, nella speranza che gli fosse sfuggito al controllo precedente.
Accadde all’improvviso, la mano le tappò la bocca e cadde in un profondo sonno. Sonno senza sogni. Sogni che non avrebbe più fatto.
Si svegliò nell’oscurità di una stanza. Era nuda dalla vita in giù, legata e imbavagliata. Non riusciva a vedere bene ma sentiva che con lei c’era qualcuno.
Dal lato opposto si aprirono due occhi.
Il bavaglio impedì al suo urlo di esplodere ma il mugolio che ne uscì ebbe comunque effetto.
Prima della paura, Edna provò pena per quello sguardo ma non ebbe tempo di razionalizzare questa sensazione.
“Mi vuoi bene mamma?”
La voce era bassa, suadente e piagnucolosa. Edna non riuscì a contenere un singhiozzante, nevrotico pianto.
Lui era confuso, intimidito. Si alzò rimanendo attaccato alla parete opposta. Era completamente nudo e il freddo del muro, oltre che sulla carne, entrò nell’anima .
“Ho detto… mi vuoi bene mamma?”
Il cervello di Edna era già altrove. Quella situazione paradossale, insostenibile, terrorizzante, la portava lontano da lì, a ripensare al suo mondo, alle cose belle che l’attendevano fuori, a suo marito che l’amava tanto, al bimbo che doveva andare a prendere all’asilo…
La mano le carezzò la guancia, tolse il fazzoletto che le serrava le labbra e una voce diversa da quella udita prima mugolò …
Prendimi con te mamma”.
Edna implorò, sussurrando, che non le facesse male.
Lui carezzò i capelli lunghi, neri e chiese, stavolta con decisione: “mi vuoi bene mamma?”
Edna non rispose e ricominciò a piangere.
Lui esplose in una furia bestiale. La manata che sbatté sul viso della donna, aveva già fatto grossi danni.
Lui cominciò a piangere e a colpirla, prima a mani nude e poi con tutto quello che gli capitava a tiro.
Il mondo di Edna finì quella sera.

Non aveva trovato sua madre, nemmeno questa volta.
Un carillon suonò per ore prima che lui si rivestisse.

Il luogo dell’omicidio, come al solito, era una casa isolata, vuota. La vittima, una giovane donna, picchiata a morte anche stavolta, anche stavolta non c’era stata violenza sessuale.
La donna era morta in seguito a forti percosse.
Il commissario si sfilò i guanti in lattice e li gettò per terra.
Chiuse gli occhi e, come gli capitava spesso di fare, cercò di immaginarsi la scena dell’omicidio, come in sogno.
L’assassino, un uomo dal volto in nero, effettua il suo rito su quella disgraziata… vede tutto, come se fosse stato lì.
Alla fine, quando l’ultimo alito di vita si leva dalla donna, l’assassino placa la sua violenza disumana, si volta e sembra fissarlo. E’ come se da quel volto nero lui potesse sentire lo sguardo del maledetto che lo osserva, immobile, freddo.
Si era scoperto quasi insensibile, ormai, alla visione di corpi martoriati. Il collega che lo aveva preceduto era andato in pensione al momento giusto e lui si era trovato a raccogliere la dura eredità del “collezionista di mamme”.
I profili psicologici a sua disposizione, stilati dagli esperti, non gli erano d’aiuto. L’assassino colpiva giovani donne apparentemente senza particolari che determinassero un movente. L’unico elemento comune alle vittime era il fatto di avere figli piuttosto piccoli . La modalità per uccidere era sempre la stessa. Sembrava più uno scatto d’ira che una premeditazione. Dai referti disponibili avevano stabilito che l’atto dell’assassino era riconducibile a omicidi seriali legati a complessi edipici.
In due anni però, si era reso conto che la verità assoluta non si può studiare ma apprendere lentamente a discapito, purtroppo, delle vittime.
Gli faceva rabbia avere a che fare con un serial killer. Era come una qualifica “professionale”: prima assassino, poi serial killer e infine “Collezionista di mamme”, un nome che lo rendeva unico. I media poi, andavano a nozze con quella definizione e gli sembrava quasi di fare un complimento al carnefice… che probabilmente nemmeno leggeva i giornali e ignorava di essere stato qualificato come in un thriller.
C’era una domanda che teneva timidamente nascosta nelle mente, per non sentirsi banale; la solita, che ogni volta racchiudeva diversi e profondi significati: “perché?”.

Mary lanciò un’occhiata alla vetrina. Aveva i capelli a posto, trent’anni e un vestito perfetto. Sorrise e si incamminò verso il futuro.
Lui attese il momento giusto e la fece sparire. Divenne il suo destino. Dentro una stanza la storia si ripeteva. Sussurri, grida, sangue e una dolce melodia, colonna sonora della tragedia.
Ancora una volta lui non trovò la mamma e il tempo di Mary rimase il passato.

Il commissario questa volta non entrò. Attese fuori i colleghi della scientifica che riscaldarono il brodo: omicidio, presumibilmente avvenuto in seguito a violente percosse. L’omicida si era allontanato a piedi, fino a far perdere le tracce, confuso tra la folla, tra la normalità che rende tutti uguali.

Fenix sorseggiava il caffè. Mangiò l’ultimo pasticcino e appena finito di leggere un articolo sul giornale guardò l’ora, trasalendo. Lasciò sul tavolo il denaro, attirando l’attenzione del barista con un gesto.
Il grande parcheggio del centro commerciale fu l’ultima cosa che vide prima di riaprire gli occhi nel buio di un capannone industriale.
Fenix capì di non avere speranza. Sapeva chi aveva di fronte e di non aver niente da perdere. Questo la rendeva abbastanza razionale da controllare le sue emozioni.
“Mi vuoi bene mamma?”
Silenzio tra le fredde mura prefabbricate.
Una lacrima le sciolse il trucco.
“Mamma… vuoi bene al tuo bambino?”
Le parole uscirono di bocca da sole, per istinto.
“S-sì, sì, ti voglio bene”.
Riuscì a piangere senza singhiozzare.
Lui rimase in silenzio per alcuni minuti poi…
“Tu sei la mia mamma… davvero?”
“Sì bambino mio”.
“Mamma… vuoi tenere per sempre con te il tuo bambino?”

Se qualcuno fosse passato di lì in quel momento non avrebbe sentito né grida né rumori di alcun genere. Il silenzio era assoluto e lui sentiva l’alluvione di sangue pulsare nelle tempie che pian piano si placava. Non avviò il carillon.
Sorrise, guardò la donna di vent’anni più giovane di lui e cominciò a piangere felice.
L’abbracciò.

Il commissario entrò nel capannone e sebbene fosse buio completo, sapeva bene cosa avrebbe trovato. L’odore del sangue era insopportabile.
Accese la luce e il suo sguardo si fermò sulla scena per pochi secondi. Abbastanza per non scordare più quell’istantanea.
La giovane donna era distesa per terra, aveva la pancia aperta. Da lì usciva di tutto. Il sangue aveva sostituito il colore del cemento.
Il volto della donna era piegato in un dolore eterno.
Lui si era ucciso.
Una morte terribile, lenta. Un’agonia insostenibile.
Era nudo, in posizione fetale e aveva cercato di infilarsi nel ventre della donna. Si era avvolto nelle interiora di lei; con un coltello si era aperto la pancia e ve ne aveva infilato un’estremità. Il sorriso sul suo volto era quanto di più terribile e tenero il commissario avesse mai visto. Un sorriso che non riusciva a riscattare il killer, nemmeno con sé stesso ma che era servito a dargli pace.
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©Marco Frosali

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